Abbiamo atteso qualche ora, il tempo appena sufficiente a sedimentare i pensieri e le emozioni che la scomparsa di Fiorenzo Magni ci avevano portato. Poi abbiamo affidato all’abile penna di Giuseppe Figini il difficile compito di ricordarlo e commemorarlo, a nome di tutta la Lega del Ciclismo Professionistico, di cui era stato Presidente.
Quasi impossibile, impensabile, vista la vitalità straordinaria della persona, associare a Fiorenzo Magni anche solo l’idea di morte. Purtroppo è accaduto e Fiorenzo ha mancato il suo prossimo traguardo che scherzosamente indicava agli amici, quello dei cento anni. Improvvisamente, inaspettatamente, a quasi novantadue anni ci ha lasciati. Non ci ha però lasciato soli grazie al suo prezioso ricordo custodito in tutti noi e alle sue molteplici e tangibili opere.
Era in un periodo di gran fermento creativo e quasi frenetica attività prendendo contatto con amici, corridori – ex o in attività -, giornalisti, amici, addetti ai lavori e appassionati anche per la seconda presentazione della sua biografia al “suo” Museo del Ciclismo al Ghisallo, una pubblicazione bella, importante, documentata e arricchita da magnifiche fotografie ben scritta e curata dal vicedirettore di Raisport, Auro Bulbarelli. Giusto una settimana fa nel salone d’onore del CONI a Roma, che ha in un contesto di partecipazione d’alto profilo e ricca valenza, ha giustamente celebrato la grandezza dello sportivo e dell’uomo (l’ordine di citazione può tranquillamente essere invertito) Magni era presente alla “prima”, con la sua famiglia, visibilmente soddisfatto ed orgoglioso della riuscita della pubblicazione da lui voluta e fortemente partecipata alla realizzazione della quale ha costantemente contribuito con motivata passione ed il suo straordinario impeto, com’ era nel suo costume. Era fiero, visibilmente felice e orgoglioso tenendo in mano il “suo” libro (Auro comprenderà, se ci legge, sicuramente).
E’ triste, fa impressione, usare il tempo imperfetto o il passato prossimo per Fiorenzo Magni. E’ stato e sarà la personificazione della cultura del tentare, del provare, del fare per quasi un secolo. Sempre presente, in prima fila a “tirare il gruppo”, per usare la terminologia ciclistica, da capo vero, un’immagine applicabile alle sue molteplici vesti: corridore, dirigente sportivo ai più alti livelli in tutti i ruoli, imprenditore con diversificate attività. Veramente, in corsa, da avveduto e fine stratega, così nello sport come nella vita, che doveva inventarsi con intelligenza e perspicacia uniche tattiche e strategie per inserirsi fra “quei due – tali Bartali e Coppi – amici ma rivali in gara”, Magni, in corsa, tirava il gruppo quando ritenuto necessario, mai a vuoto.
Allo straordinario intuito di Magni si deve la svolta epocale dell’entrata degli sponsor extra-ciclistici per aprire un’era nuova e dare fresca e grande linfa ad un’attività che rischiava l’asfissia economica. Quanto già ci manca, anche solo per quest’ aspetto, vedendo il ciclismo d’oggi.
La Lega Ciclismo Professionistico ha goduto l’onore d’avere , quale presidente, attivo, presente, propositivo e giustamente decisionista negli anni ’80. Aldilà comunque delle cariche ricoperte, in ogni ruolo, in enti, federazioni (ricordiamo il suo costante apporto, e non solo d’idee e di tempo, all’Associazione Nazionale Atleti Azzurri d’Italia ANAAI -) Fiorenzo era un certo riferimento e grande riferimento – intelligente, informato, discreto – per tanti primi attori del ciclismo e non solo: istituzioni, dirigenti, corridori, organizzatori e giornalisti. Ha combattuto molte battaglie in favore dei corridori e del ciclismo. Ne ha prese – raramente per la verità – ma ne ha anche date, e tante, esponendosi e impegnandosi sempre in prima persona per sostenere le sue idee, talvolta apparentemente rivoluzionare, muovendosi a tutto campo, individuando percorsi e interlocutori di sostanza.
Era al centro di un “cerchio virtuoso”, a largo raggio, in tutte le direzioni con grandi e veri amici, nella migliore accezione del termine, di una vita. Amici fidati. Incuteva rispetto e suscitava ammirazione con la sua prorompente personalità e vitalità in tutti gli interlocutori, anche nei suoi competitori nelle varie attività.
Sapeva assumere anche decisioni drastiche e dolorose, magari anche contro i suoi interessi immediati, ma non derogava dai suoi convinti principi.
Se lo riteneva necessario, con grande discrezione per nascondere e coprire, in assoluto silenzio, compiva gesti concreti di grande generosità senza indicazione dei beneficiati. Lo sappiamo per certo.
L’intelligenza, anche ciclistica, non faceva certamente difetto a Magni. Sapeva “leggere”, sentire, curare con il massimo rigore il suo corpo. Per la sua struttura fisica e caratteristiche morfologiche la salita, soprattutto quelle lunghe, lo penalizzava. Sapeva gestirsi con intelligenza sopraffina e sofferenza spinta anche all’estremo quando la strada si drizzava sotto le ruote, conservando comunque la lucidità e la forza per avere poi modo di mettere in campo il suo proverbiale coraggio, che poggiava su un’eccezionale capacità di guida e controllo del mezzo lungo la discesa per ridurre, annullare e, talvolta, scavare il divario con gli scalatori. Per una sua conclamata convinzione tecnica e una sorta di rivincita in favore della categoria dei discesisti che ha avuto in lui un grande caposcuola, riuscì a fare inserire la famosa “crono discesa” dal Poggio a Sanremo di quattro chilometri, lungo la strada finale della classicissima di primavera, prologo al Giro d’Italia del 1987.
Non ci pare comunque il caso di ripetere cose che tutti sanno ed apprezzano e che sono entrate e rimarranno, a pieno titolo, nella storia del ciclismo, il vero “grande ciclismo”, ora sovente usato come puro slogan da molti nuovi “esperti” di ciclismo e, questo sicuramente, di twitter ed altre fughe (non ciclistiche) in avanti anglofone ed assai virtuali.
Che l’evoluzione non sia in una moderna ed aggiornata rivisitazione e rivalutazione del buono delle esperienze passate? Magni l’ha indicato, in molte occasioni. Se ne faccia tesoro dei suoi insegnamenti.
Il “leone delle Fiandre” il gruppo l’ha sempre tirato anche fuori dalle corse. Sono le opere, non le parole, che lo illustrano e lo illustreranno nel tempo. Basti per tutti l’eccezionale complesso del Museo del Ciclismo del Ghisallo, costruito e fatto vivere superando difficoltà d’ogni genere, sempre con determinazione ed entusiasmo, pagando, e non solo figurativamente, con dispendio d’energie in prima persona.
Ci sembra doveroso che questo suo “terzo figlio” non mancherà, a breve, di portare il suo nome. Un figlio giovane che ha necessità di cure assidue e percorsi certi e garantiti per arrivare a una giovinezza e a una maturità serene. Merita.
La famiglia di Magni, poggiata sull’amorosa e discreta presenza, in vera e invidiabile simbiosi di vita e condivisione d’ideali con l’adorata moglie, la signora Liliana, poi naturalmente allargata alle due figlie, ai generi, ai numerosi nipoti con eguale capacità affettiva dove Fiorenzo era il “pater familias”, il patriarca, il riferimento, è sempre stata indicata da quello che per tutti i suoi amici e collaboratori era e sarà sempre “il capo”, severo sì ma giusto, come la stella polare della sua vita.
Ricordiamo un affascinante racconto di Magni con la sua affabulante eloquenza che descriveva i suoi pensieri, il desiderio, il percorso d’avvicinamento e infine la realizzazione (e non poteva essere altrimenti con Magni), maturati durante i lunghi allenamenti con i colleghi corridori di quando abitava a Monza in Brianza. Oggetto del desiderio, “il sogno” l’aveva definito Fiorenzo, ovviamente condiviso con la signora Liliana, la voglia di trasferire l’abitazione cittadina della famiglia da Monza alla vicina quiete di Monticello Brianza. Meta conosciuta da tutti i ciclisti, d’ogni ordine e grado, ricercata e frequentatissima palestra ciclistica, con sfide continue, perché è il dislivello di un certo impegno più prossimo a Milano.
Una posizione magnifica, senza sfarzi, in un’ambientazione verde e tranquilla, che s’affaccia su due vallate. E ci piace pensare che, anche grazie a Magni, questo rilievo possa assurgere alla definizione di “montagna sacra” del ciclismo anche se la quota e le pendenze sono assai ridotte. La Brianza, terra d’adozione che Magni ha amato e ammirato anche per le qualità specifiche degli abitanti come, parimenti la natia Toscana (era nato a Vaiano di Prato nel 1920, il 7 dicembre 1920, festa di S. Ambrogio e quindi la Lombardia rientrava nel suo DNA)
Non solo rose e fiori nella vita di Magni. Il recente libro “Magni-il terzo uomo” ha affrontato senza perifrasi e per la prima volta, con testimonianze ed apporti obiettivi, episodi dolorosi della vita, sportiva e non, di Magni che non si è sottratto agli argomenti offrendo il suo punto di vista in modo diretto e franco.
Mancherà a tutti. Mancherà alla sua famiglia, al suo amico-fratello-coetaneo Alfredo Martini, ad Ernesto Colnago, a Giorgio Albani, fra i più prossimi amici, a Sergio Zavoli ed a tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo. Ha però raggiunto altri amici e rivali sportivi che l’hanno preceduto lassù. Ora il terzetto è al completo, lassù.
Rifacendoci però alla parafrasi cinematografica che ha dato lo spunto per il titolo del libro testimonianza di Auro Bulbarelli “Magni-il terzo uomo”, film inglese vincitore del festival di Cannes del 1949 e dell’Oscar del 1951, facciamo ricorso ad un altro film che ha vinto l’Oscar nel 1979, un remake de “Il cielo può attendere” ambientato nel pugilato e diciamo, storpiandolo un po’ “ Il paradiso poteva attendere”, almeno fino ai 100 anni del grande Fiorenzo, cattolico fervente e convinto che, con serenità, si dichiarava sempre pronto al grande passo, senza timori.